Ricevo e pubblico.
“Carissimo Rosa l’ho intravista in sala riunioni in compagnia del nostro HR ed è da allora, che dopo averla scritta di getto, tengo questa e-mail in caldo aspettando di avere il coraggio di inoltrargliela.
Mi riferisco al colloquio che intrattenemmo oltre 15 anni fa ed in particolare a tutto quanto ne seguì.
Oggi sono passati oltre 16 anni ed ho fatto quella che si potrebbe definire una “brillante carriera”.
Ammetto che nulla mi è stato regalato e che ogni giorno si scende in trincea con il coltello fra i denti.
Lotto per la vita in mezzo a killer senza cuore pronti a rinnegare la paternità dei figli, anzi sicuramente alcuni lo hanno già fatto, pur di guadagnare un aumento di livello, stipendio o menzione dal loro capo. Killer a sua volta.
Qui si compete su tutto, si compete per tutto.
Ieri sera sono tornato a casa e mia figlia mi ha domandato “papà cosa hai fatto di bello oggi al lavoro?” …il sangue mi si è gelato e non le ho saputo rispondere.
Io sono anni che non faccio più nulla “di bello” al lavoro, al contrario tappo buchi, spengo incendi e prevengo imboscate.
Rosa io sono un ingegnere non un politico!”.
….
E voi da quanto tempo non fate più niente “di bello” al lavoro?
Oggi il lavoro è oppresso da una cappa di paura che rischia di far perdere efficienza e lucidità. Si lavorava bene quando si cresceva. Oggi siamo in trincea per difendere una linea del Piave che inevitabilmente cederà se non si torna a pensare in termini espansivi
Certo che non è una guerra… Ci mancherebbe pure, ma spesso se non sempre, il lavoro è una fonte di reddito. Indossare l’elmetto è obbligatorio. A tutti i livelli.
Non mi piace il concetto di trincea. Il lavoro non puo essere una “guerra”. Mi sono posto come obiettivo che se qualcosa non mi piace non devo fuggire o difendere come un soldatino la mia posizione, ma devo fare squadra, convincendo gli altri se serve o facendomi convincere se c è qualcosa che sbaglio. La prima parola magica è “squadra”. La seconda è “dialogo”. Voglio esser per primo “io” fautore del cambiamento, mio e degli altri. Quanto alla motivazione penso che la prima per quel che mi riguarda la cercherò sempre piu nel rapportarmi con gli altri. Le tecnicalities vanno, l umanità resta.
Le aziende sono fatte di persone e non sempre si creano relazioni proficue tra queste. Le persone, poi, cambiano durante gli anni e il turnover spesso cambia gli scenari lavorativi,. Penso che a tutti – soprattutto a chi, come me, è abituato a rimettersi in gioco e a cercare nuove opportunità – sia capitato di arrivare in una realtà aziendale con ottime motivazioni e stimoli, per poi perderli via via con il passare degli anni. Sono rare le aziende in cui le motivazioni e gli stimoli si rinnovano negli anni: top e middle management giocano un ruolo importante e devono essere visionari, innovativi e capaci di trasmettere queste caratteristiche a tutti i livelli aziendali. Un CEO che – per esempio – mi dice: “l’IT deve essere al servizio dell’azienda e risolvere i problemi” e mi boccia qualsiasi idea e proposta per innovare e migliorare i processi aziendali, non infonde certo motivazioni ad essere innovativi e pro-attivi, ma ti manda a lavorare in trincea, senza alcuna possibilità di uscirne. Questo avviene in ogni settore aziendale e le conseguenze sono sempre le stesse: il lavoro diventa logorante, cresce l’insoddisfazione e diminuiscono stimoli e motivazioni.
Hai ragione, anche io non ho mai perso la speranza di un lavoro bello. Non mi sono mai arreso di fronte a nuove sfide, e non nascondo che mi piace mettermi in gioco.
la sinergia tra i reparti è fondamentale per andare nella stessa visionaria direzione.
ed “accettare” i problemi è il primo indizio, la prima molla che ci farà perdere motivazione.
Accettare un problema, perdere il bello del proprio lavoro è rassegnazione. e non fa per me….
Verissimo…. È come il rapporto di coppia o viene alimentato da ambo le parti o sei in TRINCEA!
Non credo proprio, io amo il mio lavoro, odio chi me lo toglie, chi non lo valorizza, chi non mi stima…. Ma il mio lavoro non potrò mai odiarlo!!!
Lo ripeto e non mi stancherò mai di dirlo, nessuno si sposa con l’Azienda, che, nella maggior parte dei casi, ci metterà pochissimo a sostituirti. Se non ti va bene hai il diritto/dovere di cambiare, trova di meglio e vai via, ma, prima di andare, devi trovare e devi resistere, lo stipendio serve per mangiare, prima di tutto, questa è la più grande motivazione.
Capita di perdere la motivazione ma io la prendo come una sfida con me stesso e provo a recuperarla, da’ piu soddisfazione che cercare un nuovo lavoro.
Ho imparato ad attingere da me stessa, continuerò ad essere fedele ai miei valori e la meritocrazia nel mio raggio d’ azione la farà da padrone.
Le mie spalle sono piene di coltelli inflitti da incapaci e frustrati, ma oramai sono immune.
Vado per la mia strada e mi auguro di poter incontrare persone “RISOLTE” da cui posso trarre energia e motivazione.
Il mondo ancora ne regala.
Il problema non è nemmeno “il terreno” quanto quello che ci si va a versare sopra. Ci si può trovare una realtà estremamente fertile. Ma su cui si va a versare solamente sale e acido.
Oramai la trincea é divenuto uno standard in quanto ogni cosa viene poi presa, stravolta e resa totalmente inutile. Questo non solo fa perdere la voglia e il piacere ma rende scoraggiante anche portare delle proprie.
In un ipotetico mondo perfetto si ragionerebbe sulle idee per poi attuale ma purtroppo siamo arrivati alla disperata ricerca di soluzioni senza che nulla venga stravolto e che al contempo porti risultati concreti e immediati.
Purtroppo i momenti in cui si riesce a dire a se stessi “mi piace davvero quello che ho fatto” sono sempre più rari e diviene faticoso trovare motivazioni per continuare nonostante tutto.
Io sono quello che parte a va all’assalto, poi mi giro indietro e vedo che in trincea non è rimasto più nessuno perché son scappati tutti nelle retrovie. E allora a quel punto non ti resta che combattere, l’avranno vinta ma a caro prezzo…
Porto la mia esperienza, anch’io ho perso la gratificazoine del mio lavoro, ma più che altro ho perso il mio lavoro…
Per 20 anni ho lavorato nel settore IT, sono cresciuto e ho fatto crescere l’azienda da 12 terminali di un sistema centrale a oltre 300 client e 35 sedi in remoto connesse in tempo reale, dalla gavetta, programmatore, sistemista, help-desk, formatore, IT Manager
Poi la chiusura, inaspettata dell’azienda. Sparito tutto.
Tre anni e mezzo di vane ricerche di un nuovo lavoro, lavoretti saltuari di una o due giornate… poi uno spiraglio, mi offrono un posto di centralinista, accetto, dopotutto bisogna pur mangiare…
Ecco, da allora, sono anch’io in trincea, ma al contrario, ogni giorno combatto inviando curriculum in attesa di trovare un nuovo lavoro e tornare a dormire la notte e ad alzarmi felice la mattina…
La motivazione è si mio compito coltivarla ma il terreno ,quello conta. Humus e acqua senza uno dei due nessuna pianta può crescere.
Coltello fra i denti e ventre a terra, non a tutti dispiace l’odore del napalm la mattina
Ho la fortuna di aver sempre svolto un lavoro che mi piacesse. Ed anche il coraggio di sceglierlo. E il carattere per pretenderlo. Naturalmente si nota la modestia nel raccontarlo…
Se chi ha il “comando” riuscisse a tradurre in euro quanto costa questa attività di rimanere in trincea e vivi si renderebbe conto che è un gioco al massacro che a nulla porta. Tantissime energie sprecate a discapito del business e del benessere.
Da più di un anno sicuramente…ma non mi fermo a cercare di cambiare realtà.
Due anni fa sono andata in Direzione e ho proposto: attività e aggiornamenti e anche di reinventarmi. Risposta ricevuta circa un anno fa: spostata in una nuova area, dove qualsiasi forma di contributo non è gradita. Ho sempre cercato il “bello” anche nelle mansioni più noiose, ma questa volta è davvero difficile.
Si accettano suggerimenti, please.
Credo che ormai sia responsabilità dei singoli mantenere alta l’attenzione nelle cose che si fanno. Dall’alto arrivano solamente bastonate in testa.
Sto in prima linea, mi aggiorno e cerco sempre nuove opportunita’.
Cruda realtà… aspetti che gli altri ti risolvano il problema e passi il tuo tempo a lamentarti di non avere motivazioni e di non essere valorizzato, dimenticando che sei tu che devi rischiare ed andare alla ricerca di nuovi ‘blue oceans’.