Per anni anch’io sono stato convinto che essere appassionati del proprio lavoro significasse qualcosa del tipo che “puoi fare per ore e ore senza mai stancarti”.
Non solo ma, a chi me lo domandava, rispondevo che sì, ero un ragazzo fortunato perché ero riuscito a convertire una passione in un lavoro e potevo ritenermi soddisfatto.
Ma questo non è tutto.
Col passare del tempo e dopo qualche migliaio di colloqui con manager affermati e soddisfatti del loro lavoro ho capito che non è del tutto vero, o meglio non è tutto.
Puoi essere professionalmente di successo ma essere comunque frustrato, avere brutte giornate e voler tornare a casa quando proprio non ne puoi più.
Le persone che riescono a fare ciò che amano per lavoro sono fortunate ma non sono la maggioranza.
Molte altre persone sono abbastanza contente di quello che fanno, ma non ne sono appassionate. Questa è probabilmente la maggioranza.
Poi esiste un terzo gruppo di persone che non amano davvero ciò che fanno e vanno da non particolarmente felici a completamente infelici.
Credo che l’obiettivo consista nell’evitare di essere nel terzo gruppo.
Non tutte le passioni sono all’altezza delle realtà del mercato del lavoro. Se sei appassionato di poesia o pittura, troverai opportunità di lavoro molto limitate per queste discipline.
Diciamo che ha senso trovare un lavoro che puoi fare ragionevolmente felicemente, mentre persegui le tue passioni quando non sei al lavoro.
Inoltre la felicità sul lavoro dipende molto spesso dal senso di realizzazione e dal livello di ingaggio e motivazione che, a prescindere dalla retribuzione, le aziende sono in grado di offrire.
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E’ così, non tutte le passioni consentono una vita dignitosa e non tutti hanno il coraggio o la forza di seguire le proprie passioni e renderle delle professioni. A mio avviso può aiutare il fatto di credere che la realizzazione personale passa anche attraverso altre sfere che non siano esclusivamente il lavoro il quale spesso è un semplice strumento per vivere la vita che vogliamo.
Fino a 3 mesi l’argomento che preferivo era “la pensione”, sognavo quel momento perchè avevo angoscia ogni mattino quando aprivo il computer per mettermi a lavorare facendo un lavoro che non mi piaceva e soprattutto non mi dava alcuna soddisfazione nonostante il mio capo fosse molto contento di me, certamente mi impegnavo molto proprio perchè non mi piaceva e volevo comunque dimostrare di farlo bene. In 37 anni di lavoro non sono mai venuta meno ai miei impegni … poi finalmente la svolta, la possibilità di cambiare azienda e sono rinata. La pensione? e chi ci pensa più sono contenta di quello che faccio anche se non guadagno di più, sono molto più impegnata ma non mi pesa. Fai il lavoro che ami e non lavorerai neanche un giorno nella tua vita … è vero!
Come al solito un articolo che svetta su tutti per lucidità e coerenza con la realtà. Massimo anche io faccio parte di coloro che appartengono al secondo gruppo. Quando ho cominciato a lavorare giuro ero fra coloro che potevano definirsi “fortunate” , come scrivi tu, e in alcuni giorno sono scivolata anche ne terzo gruppo.
Credo sia fisiologico del tempo che passa, delle abitudini e del fatto che non tutti i datori di lavoro hanno chiaro cosa significa la parola “motivazione”.
Grazie per i tuoi articoli sempre stimolanti e vividi.
Sinceramente ho scordato da un pezzo cosa significhi recarsi al lavoro con entusiasmo. Le giornate ormai si trascinano nel tentativo di evitare le imboscate dei colleghi o cercando di non essere additato come il prossimo esubero. Non vedo tutto questo entusiasmo.
Ricordo i colleghi danesi…la centralinista era gallerista d’arte, il direttore scientifico andava al lavoro in barca a vela (una deriva…), tutti i manager erano sportivi giovani padri…e gran bevitori!
I problemi li hanno tutti, gli errori si commettono, ma una società attenta alla crescita culturale e al benessere collettivo aiuta veramente a vivere appieno la propria VITA.
Rimaniamo italiani, ma ogni tanto ispiriamoci al nord Europa!
Massimo al 31/12 abbandono il mio lavoro ce non sentivo piu’ mio come quando iniziai 12 anni fa.
L’azienda si è trasformata completamente e io sono entrato in un tritacarne. Il vecchio titolare che ci chiamava per nome è morto ed è stato sostituito da giovani eredi senza cognizione di causa e soprattutto non dotati di empatia e capacità umane.
Credo che i commenti siano più o meno tutti della stessa solfa……e il mio non sarà differente..un buon lavoro, piacevole e che faccio ormai da 14 anni, ma un’azienda (multinazionale) inaffidabile e con una retribuzione assolutamente non in linea con il lavoro/responsabilità che chiede di addossarti….Sarebbe facile e scontato mollare tutto alla ricerca d’altro, perlomeno per trovare nuovi stimoli, ma con una famiglia da mantenere sono discorsi che si possono fare solo dopo aver trovato qualcos’altro…però un 44enne con un contratto indeterminato e un certo numero di anni di esperienza, altre aziende sono titubanti nell’investire su di te, che hai una certa età e delle aspettative economiche più alte del “neo laureato” che si accontenterebbe di un contrattino a tempo ed una paga da entry level……il solito cane che si morde la coda…
Ho lavorato come HR per 18 anni e ho avuto modo di fare un lavoro che adoravo supportando candidati, colleghi e azienda. Poi per motivi familiari ho cambiato mansione all’interno della stessa azienda ripartendo da zero e diventando in poco tempo un punto di rifetimento nella nuova funzione. Non era più in lavoro che adoravo ma mi ha dato molte soddisfazioni e riconoscimenti.
Massimo io sono un imprenditore e ho iniziato questa attività per passione. Oggi mi ritrovo ad odiare il mio lavoro perché sono ostaggio dei costi e di quello che lo Stato sta facendo colpevolizzando i piccoli e favorendo le multinazionali.
Siamo additati come scaltri e senza scrupoli quando non riusciamo neanche a versare i nostri contributi personali. Massimo io sono alla frutta, odio il mio lavoro e le mie giornate… e pensare che avevo iniziato con tutta la passione del mondo.
Per quanto mi riguardi trasformare la propria passione in un lavoro è la condizione di vita a beneficio di pochissimi eletti (sportivi professionisti, musicisti, artisti ecc.). Checché se ne dica molti di quelli che sostengono di aver fatto della propria passione un mestiere illudono sé stessi. Per me il lavoro, pur appassionante e soddisfacente, rimane un lavoro. Le mie passioni sono da dedicare a momenti ad esse riservato così che abbiano tutte le attenzioni e la concentrazione richieste.
Lavoro è lavoro, vita è vita.
Concordo assolutamente Massimo. Evitare di essere nel terzo gruppo è l’obiettivo principale.
Ho un lavoro che adoro ma l’azienda fa schifo e i titolari sono delle bestie! Penso spesso di abbandonare tutto cambiare città per cercare qualcosa di nuovo ma sono legato ai mii genitori anziani e non li posso abbandonare. Non è una situazione idilliaca, ma concordo con te, mi sto prendendo le mie soddisfazioni al di fuori dell’orario di lavoro. Vedremo. Grazie del bellissimo post.