Sono passati appena due anni da “Un Lavoro infernale“, ma il mondo del lavoro, almeno nel suo lessico, sembra avere subito trasformazioni epocali. Anche grazie al mio libro? Mi piace crederlo.
In realtà l’approccio unconventional e le modalità di linguaggio che per primo utilizzai parecchi anni fa, nell’ambiente ingessato delle HR, ebbero l’effetto di un elefante all’interno di una cristalleria.
I miei concetti deflagrarono ed il linguaggio inconsueto con il quale li esprimevo ebbero l’effetto di creare un pubblico sempre più ampio, in particolare su LinkedIn, dove piccoli Massimo Rosa cominciarono a crescere e ad affermarsi.
Una comunicazione trasparente e senza filtri che pare oggi essere diventata la normalità, così non era solo qualche anno fa. Non è nulla, però, al confronto della realtà e di cosa le cronache di essa ci rappresentano quotidianamente.
Cosa pensare quando un’economista accademica, oggi ex ministra del Lavoro, sbaglia i calcoli e lascia 300.000 lavoratori senza pensione e senza stipendio?
Quando il suo successore parla, utilizzando un linguaggio da bocciofila, di giovani che farebbero meglio ad andare a giocare a calcetto invece di studiare?
O, peggio ancora, una nota marca di borsette decide di selezionare il suo prossimo stagista anziché valutandone requisiti e merito, organizzando un contest a premi dove l’unica capacità richiesta è quella di presentare lo scontrino fiscale per dimostrare di aver effettuato l’acquisto di un loro prodotto?
Nulla di strano, verrebbe da replicare, se pensiamo che la moralità dei nostri giovani e della loro formazione è nelle mani di una ministra che mente persino sul suo titolo di studio.
Le nuove tecnologie, l’industria 4.0, la digital trasformation e la boiata delle start up stanno contribuendo a creare una generazione sconfitta in partenza.
Neet che vagano come zombie tra una ricevitoria del superenalotto e la finale di Champions League sui canali Sky a pagamento.
Non riesco a nascondere la paura che si stia devalorizzando il lavoro, non solamente nel significato ma anche nella sostanza, ma è un dato di fatto: il lavoro non è più in grado di garantire quello per cui dovrebbe essere sempre esistito, il sostentamento del lavoratore e della sua famiglia.
I più fortunati lavorano per sport, così per fare, stando in pari per far girare le cose, quando va bene.
Per i liberi professionisti, poi, è tutto un programma. Fatturati sempre più risicati, contratti in caduta libera, mentre costi e problemi non cessano di incrementarsi.
Ho incontrato e conosciuto, solo in questi ultimi due anni, decine di validissimi professionisti, architetti, avvocati, psicologhe, giornaliste, freelance, tutti e tutte impegnati alle loro scrivanie, nelle loro botteghe o davanti ai loro PC nella convinzione di dare il massimo, sempre e comunque, ma che al contempo arrivano a fatturare quando va bene poche migliaia di euro l’anno.
Non bastano, certo che non bastano, questo però non li ferma e non le ferma, ma li umilia e demoralizza ogni giorno di più anche e proprio a causa del fatto che il lavoro è cambiato, in peggio.
Proprio grazie a questo o quel Ministro del Lavoro, questa o quella Ministra dell’Istruzione, questo o quell’imprenditore e alle loro poco lungimiranti visioni, dichiarazioni e, soprattutto, a causa delle loro manifeste incapacità.
La scelta di un titolo forte come Andate a lavorare! non è casuale ed oltre ad averlo impiegato per uno dei miei articoli di maggior successo, ho deciso di riproporlo in occasione di questo libro, con una duplice valenza.
La prima, spronare coloro che nel dubbio e nell’incertezza dell’attuale mercato del lavoro si sentono inermi e sconsolati, invitandoli invece ad alzare la testa e non arrendersi ai luoghi comuni. Andare incontro alle opportunità, spegnere i PC e scendere in campo, con determinazione e rabbia.
Mentre la seconda da monito ed invito per coloro che invece sono causa di questo mal di Lavoro, che hanno contribuito a demolire il futuro dei nostri giovani e delle generazioni a venire.
Andate a lavorare! Appunto.
Dopo 2 anni la situazione pare esattamente come l’avevi descritta. Ma che hai la palla di vetro?
Questa situazione discende dalla globalizzazione selvaggia degli anni 2000. Allora, a dire che solo la politica “mondiale”avrebbe potuto e dovuto fissare delle regole per impedire agli imprenditori di delocalizzare per ottenere tutto a quasi niente, smantellando un sistema industriale e sociale ero proprio il solo.
Nessuno, ma proprio nessuno, vedeva dietro questa meravigliosa opportunità di globalizzazione del business la distruzione di intere classi sociali.
La globalizzazione si è poi compiuta nel senso più “globale” con il reflusso postindustriale riportando gli effetti pratici dello schiavismo moderno nei paesi da cui gli imprenditori si sono mossi 15 Anni fa.
Dire oggi che l’effetto epocale che stiamo vivendo è riconducibile all’ultimo ministrodell’istruzione dell’istruzione o del lavoro, vuol dire aver capito veramente poco del fenomeno e della sua storia.
Nella mia carriera ho riorganizzato e rilanciato molte aziende e sono stato anche presidente di una bocciofila. In quest’ultima ho trovato molta più intelligenza ed umanità che nel mondo aziendale, head hunters compresi.
Ho assunto molte persone affiancato da Head hunters e mi sono sempre chiesto: ma questi, da dove arrivano e chi li forma?
Ho impedito licenziamenti ed estromissioni mettendomi di traverso rispetto a direttori del personale e di funzione che dividevano le perdite per il costo aziendale medio per dipendente per stabilire gli esuberi.
No amici di 20 30 40 50 o 60, il problema viene da lontano, può essere risolto solo da chi sa guardare lontano e ci vuole purtroppo un lungo tempo, che ci consuma l’esistenza, ed un’azione politica, corale e globale, per ridare alle basse classi sociali ovunque, la dignità “media” che avevano conquistato i nostri nonni. Purtroppo come la politica mondiale è mancata allora, regolamentando la globalizzazione mancherà anche ora nel prendere i necessari provvedimenti. Per ripartire ci sarebbe bisogno di un’Europa coesa e forte ma guardate a chi la gente guarda oggi: nazionalismo, no €, ecc.
Se non ha capito il popolo le radici del proprio problema come può sperare in soluzioni dai propri governanti, che proprio lui ha eletto?
Non ne faccio una questione di schieramenti ma di qualificazione, formazione e visione strategica di chi fa politica. Oggi ti candidi su internet, vieni eletto e passi alla storia per le cazzate che fai o quello che non fai.
A mio avviso se non affronti questi problemi Massimo, stai semplicemente cercando di guadagnare vendendo un libro, cosa che ti auguro abbia successo, ma scusami non lo leggerò.
Beppe
Vedo però un leggero squilibrio. Io piccolo dipendente o ex dipendente disoccupato posso/voglio cambiare ed è la necessità oltre alla volontà a spingermi. Chi lavora per sport o nega il lavoro altrui o crea il mal da lavoro quale motivo o spinta avrebbe per uscire dal suo mondo? Il libro lo comprerò volentieri perché da poco leggo i suoi post mi piacciono e mi fanno riflettere. Spero di trovare anche una buona soluzione alla mia riflessione
Grande Doc. Se questa è l’introduzione… non ci sono più barriere nel settore delle risorse umane hai sfondato il muro delsuono.
Me lo regalo per Natale!