EMPLOYER BRANDING
Se è vero che, come riportano recenti indagini, meno del 15% dei dipendenti si sente realmente coinvolto dal proprio lavoro, la grande sfida della aziende illuminate consisterà nel mantenere alta la fiducia e la fedeltà dei propri dipendenti anche dopo aver siglato quel contratto psicologico definito: Lettera di Assunzione.
Penso sia arrivato il momento di andare oltre la “fuffa” delle politiche di Employer Branding “esterne” praticate esclusivamente per attrarre i migliori talenti nel mercato del lavoro e cominciare a lavorare convintamente al miglioramento delle esperienze “interne” e a tutto ciò che i dipendenti ricevono dall’azienda che li ospita.
Come?
La mia modesta ricetta potrebbe essere quella di incentivare uno stile di management più partecipativo e meno direttivo.
La tua? …
Le aziende, o le imprese nascono per perseguire un’idea, un sogno, un progetto e per farlo l’imprenditore raduna intorno a questa idea un popolo e lo mobilita. Se questo è il motore allora la conseguenza che prima di tutto le persone devono essere coinvolte nel realizzare il progetto e non solo nell’eseguirlo, ed il ruolo del capo diventa a questo punto quello di fornire a tutte le persone coinvolte le più aggiornate risorse cognitive possibili in modo che l’organizzazione faccia il suo vero lavoro: evolvere continuamente e cambiare.
Walk the talk ! Nella maggior parte dei casi basterebbe mantenere coerenza tra pensiero azione e cultura aziendale…ascoltare per davvero… in poche parole essere autentici… e comunque tutto dipende dalla qualità della leadership..
Rendere i dipendenti indipendenti, standogli a fianco e segnando la strada con un sistema ad obiettivi di medio termine, creare coesione con eventi informali per migliorare la comunicazione interna e le relazioni, togliere gli incentivi individuali o quantomeno posporli a quelli di gruppo.
Ho imparato che stile manageriale partecipativo e direttivo hanno esattamente lo stesso effetto se il collega o collaboratore non ha minimamente intenzione né di partecipare né di essere diretto.
Le 4 macro aree dello stile di leadership, bellissime da leggere, funzionano se qualcuno le vuole anche ascoltare.
In un’Italia di PMI ove molti imprenditori arrivati dalla terra che si sono fatti da soli e tutt’ora sono molto schivi, diffidenti abituati più ad assumere o meglio tenere per anni persone che ritengono di fiducia secondo i loro parametri emozionali, direttori che eseguono anche di più rispetto a quanto dovrebbero ma che fanno sentire il Titolare gratificato perchè le il”paron” non è mica facile. Se ci fosse più tourn over, più voglia di conoscere e parlare con le persone e prenderle da altri settori, Siamo Umani con un cervello… Poi ci sono le grandi multinazionali. E le soft skill? Qualcuna ha mai tentato di trovarle nelle persone, non è facile…ma cosa è facile? Il discorso sarebbe molto più lungo….Buon fine settimana a tutti.
Il capo migliore che ho avuto in 22 anni di lavoro, quando abbiamo affrontato assieme un problema mi ha risposto così: “ effettivamente dopo tanto tempo che non seguo più direttamente questo aspetto, non posso aiutarti, confido nella tua serietà nel trovare una soluzione, so che ce la puoi fare…” la soluzione è uscita grazie ad una n impegno rinnovato è rafforzato da tanta stima e affidamento…
A dodici anni di distanza ho ancora stima di questa persona e noto la differenza rispetto a chi si nasconde dietro un volgare “se lo sai fare fallo, se non lo sai SALLO” il classico metodo di non sa e solo pretende… è il tram e la stima reciproca che fanno la differenza dando una marcia in più!
Io mi rifarei ad alcune teorie economiche e gestionali in particolare quelle di Jeremy Rifkin che, al momento, sono state abbastanza precise, ovvero non più strutture piramidali ma a rete, ove la responsabilizzazione delle persone, unita alla leadership costruita sulle basi di fiducia da una parte (non sul controllo) e di visione dall’altra, permette di far emergere le caratteristiche positive di ognuno del o dei gruppi, in modo che tutti ne traggano beneficio.
Le strutture piramidali basati sul fatto che esistano solo “carriere preconfezionate verticali”, indipendentemente dalla reali capacità, sono orami fallimentari. E quando falliscono queste teorie da padroni del vapore dell’800 falliscono le aziende insieme a tutti i lavoratori, in primis quelli che difendono quelle teorie, un attimo stantie…
Nelle attività tradizionali la leadership può avere due facce: la faccia “gerarchica”, dove DEVI seguire il tuo superiore, perché così va fatto.
E la faccia “empatica”, dove SEGUI il tuo superiore ANCHE perché ha creato un rapporto di collaborazione, di fiducia, di stima.
Più diifficile il secondo tipo, credo.
Nel sistema operativo in cui lavoro, invece, non ci sono gerarchie, pur lavorando in stretta collaborazione con tutto il gruppo.
Solo leadership di contenuti.
E puoi acquisirla strada facendo, sostenuto da una formazione che ormai vanta 40 anni di successi.
Iniziamo dal Welfare. Quello vero con la W maiuscola e equamente distribuito! Work life balance? Agile working? Quante leve abbiamo a disposizione in questo millennio! Siamo in italia davvero pronti a tutto ciò?
Discorso molto giusto. Devo ancora vedere aziende (piccole, grandi, non importa) che vadano oltre la fuffa. Il comportamento vero è che se i dipendenti non servono, allora ce se ne libera tranquillamente. E i dipendenti questo percepiscono. Ma allora di quale coinvolgimento si parla?
Per come la vedo io, con focus alla Polonia dove opero, la realtà è che con un livello di disoccupazione medio, dato del Gus. L’equivalente ISTAT, siamo al 5, 6 %. Ho notato che moltissimi candidati, per non dire tutti, sono sempre più attenti alla reputazione delle aziende, dellla loro capacità di coltivare i talenti e sviluppare le competenze, del clima, del rispetto delle persone, dell’employer branding. Spesso candidati invitati a colloqui, dopo che vengono a conoscenza dell’identità dell’azienda, rifiutano di procedere perché tale azienda non risulta attrattiva. Siccome c’è più domanda di candidati che offerta di personale valido, il risultato è che molte aziende, nonostante i salti mortali che noi headhunters facciamo x reperire I candidati più fit x il ruolo e l’azienda, non riusciamo nella missione. Faccio io allora una domanda, perché le aziende non prendono coscienza di questo fatto e cominciano ad investire seriamente per risolvere il problema?
Un ottimo spunto. Secondo me la domanda che le aziende oggi si devono porre è: punto alla formazione continua del mio dipendente sapendo che nella maggior parte dei casi ci sarà proporzionalmente un aumento del costo del dipendente stesso oppure punto al ricambio continuo con manovalanza sempre a basso costo? Nel primo caso si spenderà tempo e risorse alla formazione di un individuo che successivamente sarà in grado di contribuire a sua volta nelle dinamiche aziendali rafforzando l’anima dell’azienda, nel secondo, oltre a spargere know how tra i concorrenti otterranno solo il risultato di crescere delle sanguisughe che vanno via alla prima occasione. A questo punto c’è infine da chiedersi, c’è più guadagno nel primo o nel secondo caso?
Senso di appartenenza, partecipazione, ed un orario di lavoro umano. Aggiungo anche onestà, nel bene e nel male.
La comunione di intenti è indispensabile, ottenerla è uno dei principali compiti di chi gestisce
Troppi Manager a livello di “titolo” e poi di quello che succede tra colleghi e negli uffici, mettono bellamente la testa sotto terra pagandone poi le conseguenze con uscite di massa.
Mi perdonerai se do una ricetta raccontando un aneddoto di un imprenditore “con le palle” conosciuto un po’ di tempo fa… Facendomi una confidenza “Ricordati che quando le aziende falliscono o è colpa di una donna o è colpa degli ingegneri”…. Buon lavoro a tutti.
Io che studio come il contratto psicologico sia differente e quasi svuotato nelle micro imprese sarde le direi: siamo certi che basti uno stile di management partecipativo nelle micro aziende in un periodo di crisi? Forse sarebbe meglio, in questi casi, parlare di partecipazione al management, piuttosto che di management partecipativo
Concordo su tutto e con tutti ma quanto bla bla bla.
Sono un manager che riporta ad altri manager.
Stile di management? fidelizzare? Employer branding…ma ci rendiamo conto che a fronte di uno spunto vero e concreto il punto della discussione diventa la discussione stessa e si perde di vista la domanda iniziale alla quale dobbiamo rispondere?
Questo è il male dei nostri manager (me compreso forse).
Sono un manager che riporta ad altri manager e cerco soluzioni insieme ai team con cui lavoro. E forse è per questo che non sono così popolare.
Dr Rosa condivido in pieno la sua lucida analisi. Spesso ci sono ‘mode’ che vanno seguite anche nelle aziende ma a differenza di un colore o tessuto l’che può’ piacere o meno ci troviamo di fronte all’impatto su di un essere umano ancorché un lavoratore. Grazie dello spunto unico di riflessione.
Formazione ai direttivi e imprenditori made in italy
Massimo condivido la tua riflessione. Questo il mio punto di vista . Per cambiare bisogna prima che il management cambi in queste tre direzioni:
– aumentare le soft skills di tutto il personale e cambiare il processo decisionale ( le decisioni devono essere condivise con tutte le divisioni che impattano L obiettivo di business , al fine di avere commitment, allineamento ed una execution più veloce ed efficace)
– organizzazione di tipo collaborativa e non a silos
– evitare comfort zone ed egoismo delle persone
Le politiche di employer branding hanno senso se vengono associate a politiche interne di welfare aziendale, retributive, di tutoring, di monitoraggio del clima aziendale oltre, ovviamente, ad uno stile di management non “dittatoriale”.
L’uno non esclude l’altro, anzi devono coesistere.
Anche perché se vendi al “talento” di turno che nella tua azienda è tutto molto bello quando non lo è, perdi i migliori attratti da altri lidi e rimani in organico con chi non ha tanta scelta (perché, forse, non li vuole nessuno).
Cominciamo a disegnare uffici che favoriscano la partecipazione di tutti. Via le stanze singole e basta sentirsi dire ‘faccio cose riservate ‘ ! Il paradigma deve essere ribaltato, non si è più autorevoli se si possiede una stanza di x mq con scrivania e pianta etc… piano piano le aziende si stanno rendendo conto di questo e gli spazi di lavoro si stanno trasformando ma le resistenze sono ancora molto forti…
Condivido la sua impostazione. Ritengo che un manager debba condividere la sua giornata con i colleghi per i quali ha la fortuna di averne la responsabilità. Soprattutto dovrebbe liberarsi dallo spirito meramente direttivo e tendere a ridurre il lavoro dei colleghi sostituendosi ad essi anche nello espletamento dei relativi adempimenti ad essi affidati. Solo così godrà del rispetto dei suoi aumentando l’empatia e di conseguenza la produttività. A presto
Sono convinta che per fidelizzare e trattenere le risorse le aziende debbano adottare un modello di management ispirato alla leadership positiva. In che modo? Puntando sul dialogo, sull’allenamento delle potenzialità delle persone, creando una relazione di fiducia che porti alla responsabilizzazione di ciascun dipendente e, sopratutto, facendo crescere all’interno dell’azienda altri leader.
La storia ci insegna che al momento in Italia il management è spaccato in due macro tipologie:
Partecipativo (generalmente legato ad aziende a trazione familiare);
Piramidale dove il management non solo conosce poco o niente il processo produttivo dell’azienda e basano il proprio successo in termini di fatturato.
La differenza è sostanziale il primo tipo è consapevole che le performances aziendali nascono dalla fiducia che i loro dipendenti hanno nei confronti dell’azienda a prescindere.
Gli altri vivono fregandosene di tutto il resto partendo dai collaboratori che li circondano, i quali lavorano unicamente per il loro diretto tornaconto…
E fateci caso sono quelle realtà che in fase di selezione si affrettano a mettere in evidenza la capacità di team building…
Ma il team building and working process parte proprio dal management…
Così come il pesce puzza sempre dalla testa…
e io te la appoggio!
Il management direttivo crea rapporti di facciata e porta la relazione al mero mantenimento di una posizione lavorativa esentata da rimproveri. Della serie espleto la mia mansione e penso a quando scapperò a casa (anche perché questo tipo di gestione tende a dare tutto per scontato senza quei “grazie/brava” che fanno bene). Il partecipativo è un’altra storia, rinforza la coesione con la condivisione che crea e non è per tutti, ma ognuno dovrebbe provarci.
Il problema è nell’interpretazione di Employer Branding…si tratta di qualcosa di molto più profondo e ampio rispetto al semplice legame propedeutico alla selezione e attrazione del personale. E una disciplina dalle potenzialità ancora inesplorate e la sua considerazione ne è la prova in un certo senso.
Ottimo spunto di riflessione che porta ovviamente a pensare ad una azienda con il management Open Door, ma una ristrutturazione così complessa deve partire dall’alto e deve essere consapevole che ogni obiezione che arriva “dal basso” ha un fondamento ed una motivazione che implica un disagio ed una molla verso un continuo miglioramento. In altre parole occorre mettere da parte i protagonismi e diventare “agili”. Così almeno ė il mio modesto pensiero.
Management più partecipativo e meno direttivo? Assolutamente d’accordo!
… ma chi è che ha il potere di incentivare questo cambiamento? Credo che la risposta sia il management stesso, perché le rivoluzioni che partono dal basso (nel senso di parte bassa della gerarchia aziendale) sono davvero di difficile riuscita.
Quindi il vero punto diventa… il management attuale vuole questo tipo di cambiamento? Dopo aver fatto, in alcuni casi, carte false per arrivare a posizioni di prestigio proprio per poter essere più “direttivi” e meno “partecipativi” sono davvero disposti a rinunciare a ciò che hanno conquistato?