Quando perdi il lavoro una parte di te muore e lo sforzo per ricostruire l’equilibrio precedente può durare anni ed implicare complicazioni inaudite.
Capire però che la preoccupazione maggiore dipende dal sistema di credenze che ti sei costruito negli anni e sul quale basi la tua esistenza e la tua autostima collegandoli ai risultati delle tue performance lavorative, può aiutarti a scaricare un po’di inutile ansia.
Il principale errore credo sia stato quello di cercare di ottenere gratificazioni ai tuoi bisogni personali nell’ambiente lavorativo, per mezzo di miglioramenti di carriera e aumenti salariali senza considerare che il rovescio della medaglia è, che in caso di insuccesso o ventilato licenziamento, la frustrazione e la paura prendono il sopravvento anche sugli altri ambiti della tua vita.
Come il serpente che si morde la coda più questi sentimenti negativi aumentano e più vedi incerto il tuo futuro professionale.
Ma il vero paradosso è che quando tali sensazioni negative si impossessano di te possono condurti a comportamenti deleteri, anche e soprattutto sul lavoro, concorrendo a volte a farti cadere nel mirino delle “risorse non indispensabili” quindi sacrificabili.
Un altro comportamento riflesso è quello di incrementare il tempo dedicato al lavoro, sempre per la paura di non riuscire a svolgere le mansioni assegnate. Ma anche così non farai nient’altro che sottrarre tempo ai tuoi affetti e peggiorare la qualità dei rapporti intimi estendendo la potenzialità del disastro anche all’ambito familiare che invece dovrebbe essere il caposaldo per la salvezza del tuo sistema psicofisico.
E così…Bang! Il sistema collassa.
Hai perso il lavoro o lo perderai a breve? Ok è una cosa preoccupante ma non influirà minimamente sul rapporto con le persone che contano davvero.
I rapporti personali, gli affetti e le relazioni non sono messi in discussione, al contrario potrebbero essere fortificate e rinforzate dal calore che da esse potrà scaturire.
Questo da solo potrebbe già essere un valido motivo per non buttarti a terra.
Pensando a me stesso e a come mi descrivo, tutto mi sovviene tranne che la definizione di ciò che mi qualifica professionalmente.
Io per me sono: Massimo il tennista, Massimo il batterista, Massimo il marito di Antonella, Massimo il figlio di Giovanna, tutto tranne che Massimo Rosa l’head hunter.
Lo stesso vale per le persone a me care, quelle che contano o che hanno ricoperto un ruolo importante nella mia vita.
Presumo la stessa cosa valga per te.
Ti sfido a ricordare che lavoro facesse esattamente il tanto amato “zio Beppe” o l’indimenticabile “nonno Francesco”.
Ovvio, approssimativamente ne avrai una vaga idea ma non credo che pensi a loro come rappresentanti della mansione professionale che hanno ricoperto.
Non parlerai certamente di nonno Francesco come l’ex Capo Officina della Ballarini S.p.a. ma lo avrai impresso nella memoria come quell’adorabile persona con la quale hai trascorso indimenticabili e toccanti istanti di vita che nulla hanno avuto a che fare con il suo lavoro e la sua qualifica professionale.
Io purtroppo non ho soluzioni facili da proporti ne tantomeno voglio banalizzare la situazione propinandoti il solito articolo dal titolo “Le 10 cosa da fare quando ti licenziano” ma vorrei provare ad offrirti un’altra inquadratura del problema, uno spunto di riflessione, un punto di vista non convenzionale che magari potrà alleggerire il tuo stato d’animo e consentirti di rimetterti in pista:
Ti hanno licenziato o stai per perdere il tuo lavoro?
Chissenefrega, tu non sei il tuo lavoro.
Tu rimani TU e per le persone che contano davvero questo basta, per gli altri…che si fottano.
Nessuno si ricorderà di te per il tuo lavoro.
Punto di vista interessante il suo, ma per chi come me è in cerca di lavoro perché deve…lavorare per vivere…cosa suggerisce?
Attendo risposta, grazie.
RF